venerdì 21 dicembre 2007

Mi presento

Mi chiamo Annamaria Rossi, sono nata a Milano il 9 ottobre 1929 e risiedo ad Arese da dieci anni.
Da nove anni circa soffro della Malattia di Menière diagnosticatami all’Ospedale di Garbagnate Milanese (Mi) durante il ricovero di sei giorni successivo al manifestarsi della prima crisi (di cui posseggo tutta la documentazione).
Quando venni dimessa non ebbi altre crisi per qualche anno, tanto da poter svolgere una vita normale.
Poi, nel 2004, cominciò a ripresentarsi qualche crisi, circa due all’anno.
All’inizio del 2004 mia figlia vide alla trasmissione Elisir (raitre) il Prof. Mira Direttore della Clinica Otorinolaringoiatria dell’Università degli Studi del Policlinico San Matteo di Pavia, il quale, riferendosi a questa malattia, proponeva come soluzione una o due (al massimo) risolutive iniezioni intratimpaniche di gentamicina.
Presi appuntamento nel suo studio privato, poiché mi venne detto che non era possibile usufruire di una visita in Ospedale sovvenzionata dall’ASL, in data 15 aprile 2004.
Durante la visita mi fece dapprima un’anamnesi ma al mio tentativo di descrivere i miei sintomi fui interrotta bruscamente e fui invitata a “lasciare finire la lezione!”. Al termine della sua esposizione mi propose una o al massimo due iniezioni intratimpaniche di gentamicina dopo le quali, a suo dire, non avrei più avuto problemi in quanto il labirinto sarebbe stato “addormentato” e quindi non avrebbe più potuto darmi fastidio.
Io e mia figlia cercammo nuovamente di esporgli le dinamiche delle mie crisi, ma fui nuovamente interrotta e invitata a trasferirmi in uno studio attiguo dove una sua assistente mi fece sdraiare su un lettino con la testa a ciondoloni e cominciò a manovrarla con violenza chiedendomi in continuazione se provavo delle vertigini.
Il tutto durò 15/20 minuti, dopodiché tornai nello studio del Prof. Mira dove mi venne consegnato da lui stesso un foglio per la richiesta di ricovero in Ospedale qualora mi fossi trovata in condizioni tali da dovermi fare ricoverare per la prima iniezione.
Tale condizione si verificò in quanto, da quel momento in poi, le crisi si vennero a presentare con frequenza.

Successivamente quindi, pur non trovando il foglio che il Prof. Mira mi aveva consegnato, telefonai in ospedale e mi venne detto che non era importante, poiché ero già inserita tra i ricoverandi (infatti lui durante il nostro colloquio mi aveva dato per certo che le crisi da lì a poco sarebbero diventate più frequenti……).
Venni quindi ricoverata l’1 novembre 2004, ed il giorno successivo sottoposta ai seguenti accertamenti: esami ematologici di routine, ecg, esame audioimpedenziometrico, esame otovestibolare; nonostante nel foglio che compilai al momento del ricovero feci presente alla voce “patologie” che curavo l’ipertensione da 25 anni, in tutta la mia degenza presso l’Ospedale non mi è mai stata provata la pressione arteriosa.
Il mattino del 3 novembre venni accompagnata in una stanzetta e fatta sdraiare per l’applicazione di un gel anestetico, lasciato agire per circa un’ora, dopodiché entrò il Dott. Marco Manfrin (accompagnato da due medici che stavano facendo praticantato), il quale facendo lezione mi praticò l’iniezione.
La sensazione fu di una bomba nella testa, ma al mio doloroso sussulto il Dott. Manfrin mi disse: “Poi passa”, e continuò ad illustrare quanto fatto ai medici che lo assistevano.
A lezione finita se ne andò senza accertare il mio stato di salute, né tantomeno con una parola di conforto nei miei confronti.
Dopo circa tre quarti d’ora venni riaccompagnata al mio letto (per bisogno), da un’infermiera e da mia figlia.
L’indomani mattina, 4 novembre, ebbi una crisi e quando si presentò il Prof. Mira al mio letto per fare lezione glielo riferii, e lui mi disse testualmente : “Allora anziché oggi, va a casa domani, e se dovesse andare in barca (intendendo uno stato di evidente non equilibrio) sappia che sarà positivo” rassicurandomi che da lì ad un paio di mesi mi sarebbe passato tutto.
Alla dimissione dal ricovero mi venne rilasciato un foglio dove mi si invitava a presentarmi il 16 novembre 2004 (alle ore 08.30 a digiuno) per un controllo otovestibolare e l’eventuale seconda iniezione intratimpanica.
Nel frattempo le crisi non smisero di presentarsi, comunque il mattino del 16 novembre, nonostante una forte crisi in atto mi presentai all’ora stabilita in Ospedale; dovetti chiedere un letto per sdraiarmi tanto stavo male, ma fino alle 10.30 non si presentò il dott. Manfrin, il quale, successivamente al ricevimento dell’esito dell’esame otovestibolare, mi disse che dovevo fare la seconda iniezione.
Io gli dissi che non me la sentivo, ma lui rispose che l’unico altro modo sarebbe stato intervenire attraverso il cranio, quindi spaventatissima, accettai la seconda iniezione.
Dopo la consueta preparazione con il gel mi venne fatta la seconda iniezione (altrettanto dolorosamente traumatica della prima) da una giovane dottoressa molto delicata che anch’essa mi disse che avrei potuto avere crisi per un paio di mesi, ma poi più nulla.
Invece non solo le crisi non passarono, ma andarono sempre peggiorando, tanto da farmi perdere la mia indipendenza. Ulteriore perdita dell’udito, frequenti mal di testa, perdita dell’equilibrio, sbalzi di pressione, depressione e conseguente perdita di sette chili di peso per vomito ed inappetenza.
Arrivata a fine giugno 2005 mi dovetti trasferire a casa di mia figlia poiché le crisi diventarono anche tre al giorno; un sera, dopo la terza crisi, mia figlia prima di portarmi al pronto soccorso dell’Ospedale più vicino, chiamò il mio medico curante che mi prescrisse quattro iniezioni a distanza di 12 ore di cortisone Bentelan.

Nei giorni successivi dovetti proseguire con pastiglie di cortisone Deflan con posologia a scalare (nonostante questo trattamento fosse nocivo per la mia presisone alta) e Vertiserc o Microser che essendo farmaci più blandi ormai non avevano più alcun effetto su di me che erano mesi che li prendevo.

Consigliata dal mio medico ho fatto ulteriori accertamenti (assolutamente non richiesti dal Prof. Mira), da cui risulta che la causa iniziale potrebbe essere da curare in modo diverso dalla gentamicina, ma la strada è lunga e nel frattempo io sono provata nel fisico e psicologicamente, non sono più in grado neanche di prendere un mezzo pubblico, per andare ai negozi sotto casa uso il carrello della spesa a cui appoggiarmi in quanto barcollo tanto da sembrare ubriaca.
Prima delle iniezioni di gentamicina andavo in bicicletta, ora neanche a piedi, non sono più me stessa, sono distrutta!

Mi domando: ma è possibile che un medico professi una teoria senza prima accertare in modo approfondito le reali cause del malessere di un paziente che si rivolge a lui per avere sollievo ed aiuto per affrontare una malattia così invalidante?
Un trattamento del genere non me lo aspetterei nemmeno se all’Università servissero pazienti da sottoporre ad un protocollo di sperimentazione della gentamicina, che peraltro dovrebbero essere assolutamente consenzienti ed a conoscenza di tutti gli eventuali possibili effetti collaterali, oltre che sottoposti a tutti gli accertamenti necessari ad escludere qualsiasi ulteriore complicanza.